CONDIVIDERE LE CONOSCENZE
Il secondo processo riguarda il condividere le conoscenze. Si tratta di un processo essenziale, la gran parte delle conoscenze nelle organizzazioni, in quanto routinizzate, sono di natura collettiva.
Nello studio delle organizzazioni non si può prescindere dal fatto che i soggetti ne sono, comunque, il principale elemento costitutivo. Pertanto, anche la conoscenza che si genera ed accumula in ogni assetto organizzativo, non può che essere considerata, innanzitutto, come un patrimonio soggettivo che, attraverso un processo cumulativo, dà vita al complesso delle conoscenze organizzative.
Ciò permette di cogliere l’ importanza del processo di condivisione e socializzazione delle conoscenze come meccanismo che si lega sia all’ integrazione che al mutamento in ciascuna organizzazione.
Come si diffonde la conoscenza organizzativa
Perché le organizzazioni si sviluppino ed assicurino la propria sussistenza, è necessario che le conoscenze su cui esse si fondano si propaghino e mettano radici nel modo più ampio e rapido possibile; ciò, generalmente, avviene attraverso canali e meccanismi sia formali che informali. Nella prima categoria possono essere comprese le relazioni scritte ed orali o per immagini, le testimonianze dirette e gli scambi di visite, l’ affiancamento con elaborazione di esperienza diretta, la rotazione del personale, le azioni formative mirate. Nella seconda categoria rientra tutta una serie di attività costituite da relazioni sociali, sia distinte per ruolo o fasce di ruolo, sia “trasversali” rispetto a queste differenziazioni. Tutto ciò permette di mettere in luce l’importanza della dimensione cognitiva della vita di una organizzazione (che si sviluppa attraverso le pratiche poste in essere dai soggetti) ed il fatto che questa deve essere tenuta nella debita considerazione, allorquando si gestisca e/o si studi un qualsiasi assetto organizzato.
Quello della socializzazione e condivisione delle conoscenze è il processo attraverso il quale, all’ interno del sistema sociale e tecnico di una organizzazione, grazie alla formazione di gruppi, si struttura e ristruttura continuamente il patrimonio cognitivo, individuale e collettivo, legato alle cosiddette ‘routine’ che, invece, rappresentano l’elemento codificato, standardizzato e consolidato dell’ agire organizzativo. La peculiarità di questo processo è quella di collocarsi all’esterno dei canali ufficiali e delle procedure codificate, che ogni organizzazione predispone per la necessaria circolazione delle informazioni, sia al proprio interno che verso l’ esterno. Da un’organizzazione all’ altra possono variare notevolmente i livelli di standardizzazione delle conoscenze e della loro condivisione fra i soggetti coinvolti nelle stesse routine, ma sono analoghi gli obiettivi che questi meccanismi tendono a perseguire. Un processo di apprendimento standardizzato, relativo a conoscenze standardizzate, quando costituisce una modalità prevalente e diffusa, tende a generare nei soggetti l’ elaborazione di risposte ai problemi orientate esclusivamente alla regolazione di un equilibrio (effetto ‘termostato) minacciato da una qualsiasi ‘varianza’, tendenti al mantenimento dello statu quo ante). In questo caso, nell’ organizzazione prevale un orientamento riproduttivo, mirato alla cristallizzazione delle conoscenze e delle procedure relative al suo funzionamento, nonché del modo di affrontare la soluzione di problemi.
Quanto meno è formalizzata, invece, la trasmissione di conoscenze e quanto più spazio è lasciato alla loro socializzazione informale, all’ interno delle organizzazioni, tanto più facile e probabile sarà lo svilupparsi di meccanismi di apprendimento che generano nuove soluzioni, nuove modalità di pratica e di azione organizzativa. Alcune ricerche svolte su queste due diverse forme di apprendimento organizzativo hanno mostrato che, per la sopravvivenza, la crescita e la trasformazione di ogni organizzazione radicata in un contesto sociale e culturale, le azioni concrete e le pratiche messe in atto quotidianamente dai soggetti impegnati, sono molto più importanti delle procedure formalizzate e standardizzate. In senso generale, infatti, è noto che quasi sempre esiste una certa differenza, oltre che una discrepanza, fra la cosiddetta ‘organizzazione formale’ e l’ organizzazione ‘reale’ che, appunto, corrisponde all’insieme di azioni e pratiche concrete, svolte dai soggetti.
Alla luce di queste considerazioni, per una organizzazione si rivela estremamente importante comprendere e valutare l’ importanza del ‘vissuto’ realizzato al proprio interno, al fine di progettare meccanismi e percorsi di apprendimento utili per la propria sussistenza ed innovazione.
La “comunità di pratiche” ed il lavoro di gruppo
Per lo studio e la comprensione del processo di socializzazione delle conoscenze, l’ unità di riferimento importante è la cosiddetta ‘comunità di pratiche’, intesa come sistema sociale fondato su un insieme di attività i cui membri, attraverso rappresentazioni narrative, racconti di storie, aneddoti etc., si scambiano conoscenze sulla maniera di affrontare e risolvere una vasta gamma di problemi, generalmente relativi alla loro attività professionale. In ciascuna di queste comunità o gruppi, possono circolare storie emblematiche, che svolgono un vero e proprio ruolo pedagogico ed una funzione di socializzazione, più o meno informale, delle conoscenze all’interno dell’organizzazione medesima.
L’ elemento caratterizzante di questa forma di socializzazione risiede nel fatto che i soggetti mettono in gioco, nell’attività di ‘problem solving’ un complesso di conoscenze, capacità, abilità, che vanno oltre quello che, formalmente, è previsto dal ruolo (formalmente definito) che essi esercitano. Questo processo, inoltre, palesa una connaturata radice collaborativa che, generalmente, costituisce un cero tipo di risposta al bisogno di coesione che ogni soggetto porta ed esprime, anche in seno alle organizzazioni fondate su meccanismi e valori prevalentemente competitivi.
In relazione a quanto detto, risulta evidente che la conoscenza, come patrimonio organizzativo, viene socialmente costruita e distribuita fra le persone che si aggregano in funzione di compiti coordinati ed obiettivi comuni. Le formazioni di gruppo ed i tipi di ‘comunità’ che meglio rispondono alle esigenze di efficacia della pratica sono quelle che si costituiscono spontaneamente, come forme ‘interstiziali’, non canoniche. E’ stato dimostrato da numerose ricerche, infatti, che nelle organizzazioni i soggetti tendono più ad apprendere secondo modalità tendenzialmente collaborative, dando vita continuamente a forme dinamiche di comunità mirate, prevalentemente, alla socializzazione delle esperienze.
Per procedere nella comprensione del ruolo che il processo di socializzazione delle conoscenze ricopre per una organizzazione, è utile richiamare la distinzione concettuale fra conoscenza tacita e conoscenza esplicita; la prima si configura come istintiva, concreta ed esperienziale, la seconda come razionale, teorica e formale. Entrambe, però, sono connesse in un rapporto di reciproca alimentazione che si sviluppa in un processo ‘a spirale’, tale da permettere la reciproca integrazione nonché la trasformazione della conoscenza tacita in esplicita e viceversa (‘ciclo di conversione’ ). Il processo di socializzazione delle conoscenze, in questo meccanismo di continua trasformazione, svolge un ruolo fondamentale proprio nel regolare ed equilibrare il rapporto fra quantità e qualità del sapere implicito e quantità e qualità del saper esplicito, propri di una organizzazione. Infatti, da un lato è bene che una certa parte della conoscenza organizzativa sia resa sufficientemente esplicita (rispetto agli obiettivi dell’organizzazione) da un altro lato è necessario dotare di significato e contestualizzare le conoscenze implicite elaborate all’interno del sistema sociale dell’organizzazione. Così si attiva la trasformazione delle conoscenze da patrimonio individuale a patrimonio collettivo dell’organizzazione (che persiste nel tempo, oltre la presenza dei soggetti).
Non tutto l’ apprendimento che si sviluppa in una organizzazione è un fenomeno consapevole ed intenzionale; infatti, vi sono molti casi e molte situazioni in cui i soggetti imparano senza rendersene conto, agendo e regolando il loro modo di agire sulla base di stimoli che via via si presentano (sia di natura tecnica che di natura relazionale). Nelle comunità di pratiche sono, fondamentalmente, i processi di apprendimento del ‘sapere pratico’ e delle ‘teorie in uso’ ad attivarsi fra i soggetti che le costituiscono. Per questa ragione, dunque, tali forme di aggregazione rappresentano la base sociale per la trasmissione e la riproduzione delle conoscenze pratiche ed implicite.
In conclusione, le comunità di pratiche, in quanto entità concrete, che vivono ed agiscono nelle organizzazioni, generano effetti altrettanto concreti sull’ assetto organizzativo dato, sia in termini di mantenimento e regolazione, sia in termini di mutamento. Espressi in termini analitici, tali effetti possono essere ravvisati:
- nell’ attivazione di canali comunicativi efficaci e diffusi;
- nella produzione di una serie di strutture interpretative delle esperienze e delle ‘performances’ organizzative;
- nella costruzione di una memoria storica dell’ organizzazione, utile a sostenere i processi di socializzazione interna;
- nell’accumulazione di un repertorio organizzativo fatto di storie, drammatizzazioni, linguaggi, strettamente legato all’identità dell’organizzazione stessa.
Dato il valore che le comunità di pratiche sembrano avere (come elemento centrale del processo di socializzazione delle esperienze) per la vita di qualsiasi contesto organizzativo, è importante che esse vengano riconosciute come sede peculiare di attivazione dell’apprendimento individuale e di rielaborazione di esperienze organizzative. Alcune azioni possibili, volte a questo scopo, da parte elle organizzazioni, potrebbero essere:
- creare opportunità di monitoraggio riflessivo sull’esperienza;
- potenziare i circuiti e le reti per la diffusione delle informazioni;
- utilizzare la memoria organizzativa come elemento vivo e dinamico nel processo di socializzazione dei soggetti.
Gli strumenti che le organizzazioni possono utilizzare in tal senso sono molteplici e di natura diversa; certamente, le nuove tecnologie ed i sistemi di supporto alle attività organizzative che esse, ormai abbondantemente, offrono sono da privilegiare nella scelta.

Il secondo processo riguarda il condividere le conoscenze. Si tratta di un processo essenziale, la gran parte delle conoscenze nelle organizzazioni, in quanto routinizzate, sono di natura collettiva.
Nello studio delle organizzazioni non si può prescindere dal fatto che i soggetti ne sono, comunque, il principale elemento costitutivo. Pertanto, anche la conoscenza che si genera ed accumula in ogni assetto organizzativo, non può che essere considerata, innanzitutto, come un patrimonio soggettivo che, attraverso un processo cumulativo, dà vita al complesso delle conoscenze organizzative.
Ciò permette di cogliere l’ importanza del processo di condivisione e socializzazione delle conoscenze come meccanismo che si lega sia all’ integrazione che al mutamento in ciascuna organizzazione.
Come si diffonde la conoscenza organizzativa
Perché le organizzazioni si sviluppino ed assicurino la propria sussistenza, è necessario che le conoscenze su cui esse si fondano si propaghino e mettano radici nel modo più ampio e rapido possibile; ciò, generalmente, avviene attraverso canali e meccanismi sia formali che informali. Nella prima categoria possono essere comprese le relazioni scritte ed orali o per immagini, le testimonianze dirette e gli scambi di visite, l’ affiancamento con elaborazione di esperienza diretta, la rotazione del personale, le azioni formative mirate. Nella seconda categoria rientra tutta una serie di attività costituite da relazioni sociali, sia distinte per ruolo o fasce di ruolo, sia “trasversali” rispetto a queste differenziazioni. Tutto ciò permette di mettere in luce l’importanza della dimensione cognitiva della vita di una organizzazione (che si sviluppa attraverso le pratiche poste in essere dai soggetti) ed il fatto che questa deve essere tenuta nella debita considerazione, allorquando si gestisca e/o si studi un qualsiasi assetto organizzato.
Quello della socializzazione e condivisione delle conoscenze è il processo attraverso il quale, all’ interno del sistema sociale e tecnico di una organizzazione, grazie alla formazione di gruppi, si struttura e ristruttura continuamente il patrimonio cognitivo, individuale e collettivo, legato alle cosiddette ‘routine’ che, invece, rappresentano l’elemento codificato, standardizzato e consolidato dell’ agire organizzativo. La peculiarità di questo processo è quella di collocarsi all’esterno dei canali ufficiali e delle procedure codificate, che ogni organizzazione predispone per la necessaria circolazione delle informazioni, sia al proprio interno che verso l’ esterno. Da un’organizzazione all’ altra possono variare notevolmente i livelli di standardizzazione delle conoscenze e della loro condivisione fra i soggetti coinvolti nelle stesse routine, ma sono analoghi gli obiettivi che questi meccanismi tendono a perseguire. Un processo di apprendimento standardizzato, relativo a conoscenze standardizzate, quando costituisce una modalità prevalente e diffusa, tende a generare nei soggetti l’ elaborazione di risposte ai problemi orientate esclusivamente alla regolazione di un equilibrio (effetto ‘termostato) minacciato da una qualsiasi ‘varianza’, tendenti al mantenimento dello statu quo ante). In questo caso, nell’ organizzazione prevale un orientamento riproduttivo, mirato alla cristallizzazione delle conoscenze e delle procedure relative al suo funzionamento, nonché del modo di affrontare la soluzione di problemi.
Quanto meno è formalizzata, invece, la trasmissione di conoscenze e quanto più spazio è lasciato alla loro socializzazione informale, all’ interno delle organizzazioni, tanto più facile e probabile sarà lo svilupparsi di meccanismi di apprendimento che generano nuove soluzioni, nuove modalità di pratica e di azione organizzativa. Alcune ricerche svolte su queste due diverse forme di apprendimento organizzativo hanno mostrato che, per la sopravvivenza, la crescita e la trasformazione di ogni organizzazione radicata in un contesto sociale e culturale, le azioni concrete e le pratiche messe in atto quotidianamente dai soggetti impegnati, sono molto più importanti delle procedure formalizzate e standardizzate. In senso generale, infatti, è noto che quasi sempre esiste una certa differenza, oltre che una discrepanza, fra la cosiddetta ‘organizzazione formale’ e l’ organizzazione ‘reale’ che, appunto, corrisponde all’insieme di azioni e pratiche concrete, svolte dai soggetti.
Alla luce di queste considerazioni, per una organizzazione si rivela estremamente importante comprendere e valutare l’ importanza del ‘vissuto’ realizzato al proprio interno, al fine di progettare meccanismi e percorsi di apprendimento utili per la propria sussistenza ed innovazione.
La “comunità di pratiche” ed il lavoro di gruppo
Per lo studio e la comprensione del processo di socializzazione delle conoscenze, l’ unità di riferimento importante è la cosiddetta ‘comunità di pratiche’, intesa come sistema sociale fondato su un insieme di attività i cui membri, attraverso rappresentazioni narrative, racconti di storie, aneddoti etc., si scambiano conoscenze sulla maniera di affrontare e risolvere una vasta gamma di problemi, generalmente relativi alla loro attività professionale. In ciascuna di queste comunità o gruppi, possono circolare storie emblematiche, che svolgono un vero e proprio ruolo pedagogico ed una funzione di socializzazione, più o meno informale, delle conoscenze all’interno dell’organizzazione medesima.
L’ elemento caratterizzante di questa forma di socializzazione risiede nel fatto che i soggetti mettono in gioco, nell’attività di ‘problem solving’ un complesso di conoscenze, capacità, abilità, che vanno oltre quello che, formalmente, è previsto dal ruolo (formalmente definito) che essi esercitano. Questo processo, inoltre, palesa una connaturata radice collaborativa che, generalmente, costituisce un cero tipo di risposta al bisogno di coesione che ogni soggetto porta ed esprime, anche in seno alle organizzazioni fondate su meccanismi e valori prevalentemente competitivi.
In relazione a quanto detto, risulta evidente che la conoscenza, come patrimonio organizzativo, viene socialmente costruita e distribuita fra le persone che si aggregano in funzione di compiti coordinati ed obiettivi comuni. Le formazioni di gruppo ed i tipi di ‘comunità’ che meglio rispondono alle esigenze di efficacia della pratica sono quelle che si costituiscono spontaneamente, come forme ‘interstiziali’, non canoniche. E’ stato dimostrato da numerose ricerche, infatti, che nelle organizzazioni i soggetti tendono più ad apprendere secondo modalità tendenzialmente collaborative, dando vita continuamente a forme dinamiche di comunità mirate, prevalentemente, alla socializzazione delle esperienze.
Per procedere nella comprensione del ruolo che il processo di socializzazione delle conoscenze ricopre per una organizzazione, è utile richiamare la distinzione concettuale fra conoscenza tacita e conoscenza esplicita; la prima si configura come istintiva, concreta ed esperienziale, la seconda come razionale, teorica e formale. Entrambe, però, sono connesse in un rapporto di reciproca alimentazione che si sviluppa in un processo ‘a spirale’, tale da permettere la reciproca integrazione nonché la trasformazione della conoscenza tacita in esplicita e viceversa (‘ciclo di conversione’ ). Il processo di socializzazione delle conoscenze, in questo meccanismo di continua trasformazione, svolge un ruolo fondamentale proprio nel regolare ed equilibrare il rapporto fra quantità e qualità del sapere implicito e quantità e qualità del saper esplicito, propri di una organizzazione. Infatti, da un lato è bene che una certa parte della conoscenza organizzativa sia resa sufficientemente esplicita (rispetto agli obiettivi dell’organizzazione) da un altro lato è necessario dotare di significato e contestualizzare le conoscenze implicite elaborate all’interno del sistema sociale dell’organizzazione. Così si attiva la trasformazione delle conoscenze da patrimonio individuale a patrimonio collettivo dell’organizzazione (che persiste nel tempo, oltre la presenza dei soggetti).
Non tutto l’ apprendimento che si sviluppa in una organizzazione è un fenomeno consapevole ed intenzionale; infatti, vi sono molti casi e molte situazioni in cui i soggetti imparano senza rendersene conto, agendo e regolando il loro modo di agire sulla base di stimoli che via via si presentano (sia di natura tecnica che di natura relazionale). Nelle comunità di pratiche sono, fondamentalmente, i processi di apprendimento del ‘sapere pratico’ e delle ‘teorie in uso’ ad attivarsi fra i soggetti che le costituiscono. Per questa ragione, dunque, tali forme di aggregazione rappresentano la base sociale per la trasmissione e la riproduzione delle conoscenze pratiche ed implicite.
In conclusione, le comunità di pratiche, in quanto entità concrete, che vivono ed agiscono nelle organizzazioni, generano effetti altrettanto concreti sull’ assetto organizzativo dato, sia in termini di mantenimento e regolazione, sia in termini di mutamento. Espressi in termini analitici, tali effetti possono essere ravvisati:
- nell’ attivazione di canali comunicativi efficaci e diffusi;
- nella produzione di una serie di strutture interpretative delle esperienze e delle ‘performances’ organizzative;
- nella costruzione di una memoria storica dell’ organizzazione, utile a sostenere i processi di socializzazione interna;
- nell’accumulazione di un repertorio organizzativo fatto di storie, drammatizzazioni, linguaggi, strettamente legato all’identità dell’organizzazione stessa.
Dato il valore che le comunità di pratiche sembrano avere (come elemento centrale del processo di socializzazione delle esperienze) per la vita di qualsiasi contesto organizzativo, è importante che esse vengano riconosciute come sede peculiare di attivazione dell’apprendimento individuale e di rielaborazione di esperienze organizzative. Alcune azioni possibili, volte a questo scopo, da parte elle organizzazioni, potrebbero essere:
- creare opportunità di monitoraggio riflessivo sull’esperienza;
- potenziare i circuiti e le reti per la diffusione delle informazioni;
- utilizzare la memoria organizzativa come elemento vivo e dinamico nel processo di socializzazione dei soggetti.
Gli strumenti che le organizzazioni possono utilizzare in tal senso sono molteplici e di natura diversa; certamente, le nuove tecnologie ed i sistemi di supporto alle attività organizzative che esse, ormai abbondantemente, offrono sono da privilegiare nella scelta.

la mappa non è il territorio ma la rappresentazione di..
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